Zipolite

Zipolite (Playa de los muertos) Mexico
novembre 1988

Ero immerso nell’acqua bassa cercando di evitare la forte corrente che spesso, creando vortici improvvisi, cambiava direzione. Dalla mia posizione con lo sguardo potevo abbracciare tutta la baia, 1500 metri di costa incontaminata. La playa de los muertos, che sulla mappa corrisponde al nome di Zipolite, è situata sulle sponde del pacifico nello stato di Oaxaca, a circa 60 kilometri a sud di Puerto Escondito. Sembra che in epoca precolombiana siano stati gli Zapotechi a tributargli un tale appellativo, forse per i riti sacrificali, oppure per le vite prese dal mare che, a quelle latitudini, riversa perennemente le sue formidabili onde. La spiaggia era deserta, il caldo intenso ma secco scoraggiava i pochi turisti che sicuramente preferivano rilassarsi all’ombra delle palapas. Non ero solo, alle mie spalle, oltre il punto di rottura delle onde, scorsi il viso di una ragazza di colore. Non potevo credere che fosse tanto abile da sfidare un mare così impetuoso, di sicuro aveva perso il contatto con la riva per la spinta della risacca che la stava portando sempre più al largo. Tornare indietro per chiedere aiuto era da escludere, non c’era tempo da perdere e, nonostante la paura che mi montava nel petto, senza pensarci troppo mi lanciai in suo aiuto. La trovai sotto shock, occhi sbarrati, muta e rigida in un stato di paralisi motoria. Le agguantai un braccio e provai a trascinarla verso la spiaggia. Per quanto mi impegnassi non facevamo nessun progresso, la corrente ci risucchiava ogni volta e ci sballottava come tappi di sughero. Non ricordo per quanto tempo restammo in balia delle onde, ma stavo certamente perdendo tutte le mie energie in quella lotta disperata tra la vita e la morte. Ero stremato, vedevo le capanne sempre più lontane, come macchie indistinte. Inaspettatamente cominciai a ridere con gusto, la mancanza di ossigeno mi aveva scatenato uno stato di euforia, cominciavo a sconnettere. Negli ultimi istanti di lucidità, con le residue forze a disposizione, sollevai il corpo della ragazza nell’onda che sopraggiungeva e lasciai che se la prendesse. La vidi emergere nella spuma una ventina di metri davanti e, senza la sua zavorra, potei riprendere fiato. Ripetei l’operazione con sempre più precisione e dopo una serie infinita di tentativi approdammo sulla battigia. Quella stessa sera accanto al fuoco dove con alcuni amici stavo arrostendo un pargo, la vidi spuntare dalla penombra e dirigersi verso di me. Si inginocchio al mio fianco e mi baciò sulla guancia. Poi, prima di ritornare da dove era venuta, mi prese la mano e vi depose un piccolo oggetto. Qualche giorno prima, durante una sfida di pallavolo contro una selezione di locali, avevo smarrito un crocifisso di corallo che portavo legato al collo. Potete immaginare quindi la mia sorpresa, quando constatai che nel palmo della mano riluceva un crocifisso identico a quello che avevo perduto nella sabbia della playa de los muertos.

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